giovedì 30 giugno 2011

Inventarono l'aggressione denunciati tre di Casaggì


CRONACA

Inventarono l'aggressione
denunciati tre di Casaggì

Un militante era andato all'ospedale per un'infiammazione al dente del giudizio, ma con un comunicato stampa era stata diffusa la notizia di un'aggressione in pieno centro

Denunciati per diffusione di notizie false atte a turbare l'ordine pubblico. La Digos di Firenze ha fatto partire una denuncia nei confronti di Marco Scatarzi, Alessandro Draghi e Francesco Torselli, di Casaggì, centro sociale di destra. In un comunicato stampa ripreso anche da un quotidiano avevano denunciato un'aggressione subita da un militante di Casaggì, che sarebbe stato preso a calci e pugni da tre persone riportando - si legge nel comunicato una "lesione mandibolare, trauma cranico e asportazione di un dente""Il tutto in mezzo ai passanti - continua il comunicato - totalmente indifferenti". "Un atto grave e vigliacco - accusavano i firmatari -perpetrato per giunta da ultra-trentenni in sovrannumero, in pieno giorno e nel bel mezzo del centro storico fiorentino".
Ma dopo aver ricevuto sommarie indicazioni dal medico che ha curato il giovane e effettuato controlli incrociati tra gli ospedali gli investigatori avrebbero scoperto che il ragazzo si era presentato in ospedale per un'infiammazione al dente del giudizio. La notizia dell'aggressione, diffusa dai tre firmatari del comunicato stampa, sarebbe stata dunque falsa, secondo la Digos, che ha presentato la denuncia.

Gli esponenti della Giovane Italia hanno però smentito le accuse. "Non riusciamo a capacitarci dei motivi che avrebbero indotto la Questura di Firenze ad avviare questo tipo di procedimento legale nei nostri confronti - si legge nel comunicato inviato da Casaggì Giovane Italia - visto che il ragazzo in questione è stato aggredito sotto casa, colpito con un pugno alla mandibola e costretto a ricorrere al pronto soccorso". E presentano anche il referto medico rilasciato al Santa Maria Nuova "nella quale diagnosi", si legge nel comunicato, "si parla in maniera chiara di trauma mandibolare contusivo accidentale".

Leggendo il referto medico, però, ciò viene scritto non nella diagnosi ma nell'anamnesi, cioè l'analisi dei dati di quando il paziente arriva al pronto soccorso, compilata 4 minuti dopo l'arrivo.


(30 giugno 2011)


sabato 25 giugno 2011

Italian Function Point: i prezzi del software nella Pubblica Amministrazione




Dopo il tilt del computer centrale delle Poste di inizio giugno, molti si stanno chiedendo come sono stati spesi i soldi del mega appalto (150 milioni di euro) per il nuovo sistema informativo delle Poste. Probabilmente la risposta è che, per ottenere un sistema informativo davvero affidabile, le Poste avrebbero potutto,  e forse dovuto, spendere di più. Nelle gare al "ribasso sfrenato" che si fanno nella P.A., le vere vittime sono i lavoratori (spesso precari e supersfruttati) e la qualità delle forniture e dei servizi ICT. Nel caso delle Poste, il risultato dei "risparmi" è evidente: il sistema è rimasto in tilt per una settimana, producendo danni per milioni di euro.



Ma cosa c'entrano i Function Point con l'ICT nella P.A.?


Uno degli indicatori statistici che aiutano a capire quanto il settore ICT della Pubblica Amministrazione italiana sia in crisi è il prezzo medio del Function Point. Il Function Point è l'unità di misura del software, un pò come i metri quadri sono l'unità di misura della superficie. La maggior parte dei software applicativi, soprattutto in ambiente bancario (Conti Correnti, Titoli ecc.) hanno  misure che vanno da 500 a 4000 Function Point ed oltre.

Le misure in Function Point sono molto usate nelle gare "al ribasso" della P.A. (Ministeri, Enti Pubblici). Il ribasso si effettua sul prezzo a Function Point. Stando ai dati forniti da Capers Jones, uno dei guru del Function Point, nel 2010 il prezzo medio a Function Point, nei paesi occidentali, non è mai stato inferiore a 200-300 dollari. Per applicazioni particolarmente complesse (software militare, ecc.) si è arrivati anche a 700-800 dollari a Function Point.



La bolla dei Function Point nella P.A.





In Italia, grazie alle gare "al ribasso" senza controlli sulla qualità effettuate dalla P.A., molte società si aggiornano gare di fornitura software con prezzi anche inferiori ai 100 euro a Function Point, invece dei 200-300 degli altri paesi occidentali. La sensazione è che i fornitori di software vincano le "gare" della P.A. offrendo prezzi eccessivamente bassi, per poi "piazzarsi" dal fornitore e ricattarlo dicendogli che, se vuole software funzionante, deve pagare di più. Questo tipo di meccanismo è presente in tutti i tipi di gare al ribasso della P.A. (servizi, costruzioni, ecc.). E' lo stesso tipo di meccanismo che permette alle ditte infiltrate dalla mafia di vincere appalti di costruzioni di strade e ponti offrendo prezzi ridicoli, per poi costruire i piloni con la sabbia al posto del cemento. Oppure gonfiare i prezzi inventando "varianti in corso d'opera".

I Function Point sono una misura molto astratta, quindi è facile lasciarsi ingannare da fattori soggettivi. Spesso i Function Point di un'applicazione si misurano sulla base della sola documentazione di progetto, prima ancora che l'applicazione venga realizzata. E' un pò come misurare i metri quadri di un appartamento basandosi sulla  piantina del progetto. L'appartamento potrebbe non essere mai costruito, o potrebbe essere costruito in modo diverso da come descritto nella piantina. Inotre, per dirla tutta, solo pochi ritengono i Function Point una misura davvero attendibile dei costi del software. 



Punti deboli dei Function Point: l'apparente  soggettività del modello dei dati



In passato, almeno fino a 4-5 anni fa, i manuali standard di conteggio in Function Point non erano molto chiari. Ciò permetteva ai fornitori di software di realizzare conteggi estremamente "soggettivi", soprattutto per la parte relativa al modello dei dati. I Function Point si basano su un modello dei dati, il Modello Entità-Relazioni, che è molto astratto e sofisticato.  Per "gonfiare" i conteggi in Function Point è ad esempio possibile, usando veri e propri sofismi, inserire nel modello "Entità-Relazioni" delle "entità" inesistenti. Oppure rappresentare, nel modello "Entità-Relazioni", più volte le stesse "entità". Con i prezzi italiani, ad ogni "entità" in più corrispondono da 7 a 15 Function Pont in più, ovvero, assumendo 100 euro a Function Point, da 700 a 1500 euro in più.

Ad esempio, il conteggio iniziale in Function Point per l'applicazione Web SIOPE, realizzata da EDS nel periodo 2005-2006 per Banca d'Italia (qualche migliaio di Function Point) era stato effettuato con tecniche che oggi, alla luce delle attuali standard sui Function Point, apparivano perlomeno discutibili. Il conteggio iniziale dell'EDS (poi rivisto dopo trattative con i tecnici della Banca d'Italia) era basato su un modello dei dati "ipertrofico", con molte più entità rispetto a quelle effettivamente necessarie.

L'appalto per la realizzazione della procedura SIOPE era stato suddiviso in due tranche, affidate a società diverse: la Datamat aveva realizzato la parte di estrazione dei dati dai database Banca d'Italia, la EDS aveva realizzato la parte di presentazione dei dati agli utenti, basata su un'interfaccia Web.

La componente Web di SIOPE era tecnicamente complessa e costosa, e la misura in Function Point non era in grado di rendere questa complessità. Per rientrare nei costi, la EDS aveva presentato un conteggio in Function Point con un modello Entità-Relazioni "ipertrofico". Il conteggio in Function Point della componente SIOPE realizzata da Datamat, pur basato sullo stesso modello dei dati, sembrava molto più "sobrio".



"Punti deboli" dei Function Point: il problema della matrioska




Prima di effettuare il conteggio in Function Point di un'applicazione è necessario stabilire il limite, il confine esterno dell'applicazione. Un pò come prima di effettuare la misura in metri quadri di un appartamento è necessario delimitare, sulla piantina, i muri perimetrali dell'appartamento.


Uno dei punti deboli delle misure in Function Point attualmente usate nei contratti della P.A. è che esse non escludono, almeno in linea di principio, l'applicazione del "sistema della matrioska". Con questo sistema, è possibile misurare in Function Point non solo il confine esterno di un'applicazione, quello che vede l'utente finale  (come si fa di solito) ma anche le sue componenti più interne. In questo modo il conteggio finale può essere maggiorato anche del 50%.

Ad esempio alcune applicazioni mainframe IBM con interfaccia WebSphere (come l'applicazione GAIA, realizzata nel 2006 da Almaviva per Banca d'Italia) sono state misurate in Function Point usando il sistema del "doppio confine". Questo tipo di applicazioni hanno un'interfaccia esterna Web, per l'utente finale, e un'interfaccia interna Java. In molti casi tutte e due le interfacce, sia quella interna (Java) sia quella esterna (Web) sono state misurate, e pagate, in Function Point. Un pò come pagare una volta e mezza la stessa applicazione. Inutile dire che, dal momento che questo tipo di misure "sdoppiate" sono molto comuni in Italia, i prezzi del Function Point nella P.A. sono ormai scesi al di sotto di quelli dell'India.



SAP e Function Point: come i cavoli a merenda




Un discorso a parte meritano i conteggi SAP in Function Point. SAP è il più grande prodotto ERP (Enterprise Resource Programming) attualmente commercializzato. Si tratta di un immenso e costosissimo programma applicativo, composto da vari moduli (Contabilità, Gestione del personale ecc.) che fanno più o meno tutto ciò che un'azienda può desiderare. I moduli SAP sono adattabili alle esigenze dei clienti (ad esempio, modifica delle intestazioni dei report con il nome dell'azienda, modifica dei programmi di contabilità per esigenze normative interne, ecc.). Dal momento che SAP è un prodotto estremamente complesso, la personalizzazione (customizing), cioè l'adattamento del prodotto alle esigenze del cliente, è a sua volta un'attività complessa e costosa.

Molte aziende del settore pubblico (in particolare, l'ENEL e la Banca d'Italia) usano SAP da più di dieci anni. Si tratta infatti di un prodotto che offre "chiavi in mano" soluzioni costose e complesse (Contabilità, Gestione del personale ecc.) che sarebbe difficile realizzare con programmi "fatti in casa". Dal momento che le aziende del settore pubblico usano i Function Point per  misurare tutte le loro attività, è sorto il problema di stabilire un correlazione tra le attività di customizing SAP e i Function Point.

Probabilmente misurare il customizing SAP in Function Point è un pò come sommare le mele con le pere: probabilmente non c'è nessuna correlazione. Ciònonostante, vari diligenti "esperti di Function Point" della P.A. si sono attardati in spericolate speculazioni teoriche, e hanno pubblicato dettagliate tabelle con improbabili correlazioni tra Function Point e numero di tabelle SAP usate durante le attività di customizing. Nei documenti pubblicati ci sono addirittura termini di teoria dei grafi (alberi, foglie).

Gli esperti dell'ENEL hanno addirittura pubblicato le loro teorie in un libro. In Banca d'Italia, ancora adesso tutte le attività di customizing SAP sono basate sulla fantomatica correlazione tra customizing SAP e Function Point. Quest'idea era nata più di dieci anni fa, quando i Function Point erano, almeno in Italia, un "oggetto misterioso", e nessuno ancora aveva capito bene come usarli. Ora i Function Point (e soprattutto i loro limiti) sono ben conosciuti, ma nessuno vuole negare di aver sbagliato. Anche perchè, si sa, ammettere i propri errori è sempre rischioso. E così si va avanti, facendo finta di niente.



Function Point e tecniche di scarico delle responsabilità




Durante una conferenza svoltasi in Italia, nel 2010, qualcuno ha chiesto a Capers Jones, uno dei guru americani del Function Point, che effetti possono produrre i prezzi così bassi del Function Point in Italia. La risposta è stata immediata: "They will sue you. You will go to litigations". Cioè, nasceranno delle cause legali.

In effetti, i previdenti dirigenti della Banca d'Italia, che forse più delle cause legali temono le ispezioni interne da parte dei loro stessi ispettori, hanno messo su una struttura di controllo dei conteggi in Function Point "a prova di bomba". Un vero muro di gomma. Le verifiche di dettaglio sui conteggi in Function Point  vengono eseguite da un consulente esterno, che però non è uno specialista certificato di Function Point (nel settore dei Function Point esistono veri e propri esami di certificazione). Il consulente esterno riporta direttamente a funzionari Banca d'Italia, che però non hanno competenze specifiche sui Function Point. I funzionari riportano a loro volta a dirigenti con competenze specifiche sui Function Point, che però non verificano  i dettagli sui conteggi.

Inoltre, su ogni conteggio in Function Point vengono effettuati dei "controlli incrociati", eseguiti da funzionari specialisti di informatica Bankitalia scelti secondo criteri casuali. Ovviamente, in questo intreccio estremamente complesso tutti sono occupatissimi a seguire i dettagli, ma apparentemente non c'è nessuno che abbia il quadro generale. Tutto questo "spreco di intelligenza" può essere molto vantaggioso in caso di diatribe legali o ispezioni interne: sarebbe quasi impossibile, per chiunque, districare il groviglio di responsabilità.



L'"Italia peggiore" di Brunetta

Grazie alla gare al ribasso sfrenato del settore ICT della P.A., in Italia si sta verificando una situazione particolare: i lavoratori, precari o sottopagati (o tutt'e due) accettano stipendi ridicoli pur di lavorare. I fornitori di servizi software usano questi lavoratori per offrire ai committenti servizi a "giorno-uomo" a prezzi stracciati. Il prezzo eccessivamente basso del Function Point italiano è una spia di questa situazione. I tecnici informatici dei committenti della P.A. (ministeri, ecc.) subiscono questa situazione, e hanno tutto l'interesse a "gonfiare" i conteggi in Function Point per ottenere applicazioni funzionanti.

C'è da dire che solo pochi esperti di informatica ritengono il Function Point una misura davvero attendibile dei costi del software. Per molti, i Function Point sono solo una delle tante statistiche, uno dei tanti inutili "nice to have" del mondo del software.

Viceversa, molti sedicenti esperti di Function Points sono in realtà degli incompetenti. Pare che, dopo il proliferare di conteggi in Function Point decisamente poco credibili, un alto dirigente della P.A., sedicente esperto di Function Point, abbia dichiarato: "I Function Point sono un pò come la pelle de li cojoni. Dove la tiri, quella là va".  Altro che sofisticati modelli matematici! Forse la realtà è un pò più complessa. Ma siamo sicuri che, di fronte a una frase del genere, lo stesso Albert Einstein avrebbe detto: "Mei cojoni!".


martedì 21 giugno 2011

Mobbing (mi piace lavorare)



(immagine tratta dal film: "Mi piace lavorare",
di Francesca Comencini, con Nicoletta Braschi)


Il fenomeno del mobbing

La violenza psicologica sul lavoro o, come si preferisce dire oggi con un termine di forte appeal massmediatico, mobbing, rappresenta un fenomeno antico quanto le organizzazioni.
Da sempre legato alla sfera delle relazioni interpersonali, in genere non investiva formalmente l'intero management dell'impresa, si consumava piuttosto nel rapporto capo/collaboratore, progressivamente estromesso dal ciclo produttivo e depauperato della sua immagine professionale e personale.
Il cambiamento organizzativo che ha attraversato l'Italia nel decennioscorso con il suo carico di “esuberi”, costosi da ricollocare e di “risorse umane” che sono diventate un peso, ha fatto crescere geometricamente i numeri del mobbing che d'improvviso si è configurato come un'emergenza sociale.

Questi sono i primi paragrafi del del documento "Stress e Mobbing - Guida per il medico" dell'ISPESL (Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro). Un documento un pò datatato (risale a qualche anno fa) ma purtroppo sempre attuale. L'intero documento, in versione pdf, può essere letto o scaricato cliccando qui.

Il mobbing è un fenomeno estremamente complesso, ancora in fase d'analisi. Le dimensioni da analizzare sono: quella personale (spesso le persone soggette a mobbing sono individui psicologicamente fragili); quella familiare (le  persone mobbizzate sono spesso sole, oppure isolate dal loro stesso gruppo familiare); quella sociale (a volte i soggetti mobbizzati appartengono a gruppi di persone discriminate a livello sociale, come ad esempio i "meridionali" nel nord Italia degli anni '60).


Capire il mobbing (appunti di "non addetto ai lavori").

In questo periodo sto riflettendo sul fenomeno del mobbing. Non sono un "addetto ai lavori": sono un tecnico informatico del settore pubblico. Non è facile distinguere un lavoratore mobbizzato da un lavoratore che l'ormai tristemente noto ministro Brunetta definirebbe un "fannullone". Credo che un importante parametro discriminante sia quello della ricchezza e del successo sociale.  Un fannullone può essere ricco, e magari anche riconosciuto socialmente. Un mobbizzato non può essere nè ricco nè riconosciuto a livello sociale.

Sto cercando di ricordare quali, tra le persone che ho conosciuto, hanno subito mobbing a livello lavorativo. Ovviamente, indicherò queste persone solo con dei nomi di fantasia. E cercherò di non scrivere nulla di autobiografico. Anche se in questo periodo anch'io mi sento piuttosto mobbizzato.


Angela. Giovane, corporatura minuta. L'avevo intravista qualche  volta a  mensa. Sempre sola. Una mattina la noto davanti all'ingresso del mio ufficio, mentre i carabinieri la trattengono per impedirle di timbrare il cartellino ed entrare in ufficio. Sogno o son desto? All'epoca il mio problema principale era esattamente l'opposto: arrivare in ufficio in orario.
Chiedo un pò in giro, e scopro che Angela (che pare avesse seri problemi psichiatrici) era stata sottoposta a TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) dai suoi dirigenti perchè aveva manifestato aggressività contro i colleghi. L'aggressività era molto peggiorata dopo che Angela era stata trasferita (ovviamente contro la sua volontà) da una sede di lavoro centrale ad una sede più periferica e disagiata (cioè la mia) con la scusa di trasferirla "in una sede di lavoro più vicina al suo domicilio".
Dopo il trasferimento, pare che i problemi psichiatrici della donna fossero notevolmente  peggiorati. Chissà perchè? A me il trasferimento sembrava chiaramente punitivo. Dopo il TSO e la "sceneggiata" dei carabinieri che impedivano alla donna di entrare in ufficio, pare che i problemi psichiatrici della donna siano notevolmente peggiorati. Chi l'avrebbe mai detto?
Angela è stata successivamente trasferita in una sede di lavoro diversa, con la scusa di "avvicinarla alla famiglia". Pare sia stata poi licenziata per "gravi problemi di salute".


Patologia psichiatrica, mobbing, isolamento sociale ... esiste una relazione causa-effetto tra questi due fenomeni? Immagino che siano fenomeni che si rinforzano tra loro.


Mi viene in mente un altro dettaglio. Un mio collega (che io chiamo amichevolmente "il coglione") mi ha detto che, dopo il trasferimento nella mia sede di lavoro (piuttosto periferica e disagiata) Angela si sentiva così perseguitata che, quando la sera tornava a casa, spostava degli armadi contro la porta d'ingresso e contro le finestre per paura che qualcuno potesse entrare in casa. Strano che Carla pensasse che qualcuno la perseguitava. Strano. Non capisco.


Carla.  Donna gradevole, laureata, colta, intelligente. Ottima posizione lavorativa. La conobbi per caso quando cominciai un nuovo lavoro. Gentile, molto riservata. Mi colpì perchè mi disse qualcosa del tipo: "Stia molto attento a quello che dice quando parla male dei suoi capi: qui anche i muri hanno orecchie". In effetti, io sono sempre stato un pò "cazzarone". Comunque Carla aveva ragione: mi trasferirono in un'altra sede dopo una settimana. Per certi versi fu un trasferimento punitivo.
Dopo il trasferimento, qualche volta rividi sporadicamente Carla per ragioni di lavoro. Sempre gentile, timida, riservata. Molto gentile, ma di poche parole. Peccato, sembrava una persona interessante.
Un pomeriggio Carla mi chiamò per ragioni di lavoro. Mi chiese delle informazioni tecniche. Mi sembrò poco lucida. Mi sembrò che mi avesse chiamato per un problema banale. Io non ero la persona giusta. Le indicai il nome del collega che poteva aiutarla (si trattava di un collega bravo ma notoriamente scostante).
Rimasi un pò stupito dalla telefonata di Carla. L'avevo sempre vista come un persona gentile ma distante. Dopo circa un mese, scoprii che Carla si era suicidata. Pare che in quel periodo fosse molto sola. Quella telefonata era stata una richiesta d'aiuto.    

Luigi. Tecnico informatico in carriera. Mi hanno parlato di lui, ma forse non l'ho mai incontrato. Mi hanno raccontato che è sparito da un giorno all'altro. Pare sia stato costretto ad auto-licenziarsi per aver fatto sul lavoro qualcosa di tecnicamente  scorretto, perseguibile anche a livello penale. Ancora adesso non è molto chiaro che cosa abbia fatto.

Sto cercando dei punti in comune tra le storie di Angela, Carla e Luigi. Angela e Carla erano  donne psicologicamente fragili, isolate socialmente. Luigi era descritto come una persona aggressiva e tracotante. Apparenti punti in comune erano tra Angela, Carla e Luigi erano: dirigenti apparentemente melliflui ma probabilmente sadici, emarginazione sul lavoro. Angela e Luigi erano persone aggressive. Carla sembrava una donna dolce, molto riflessiva.

lunedì 20 giugno 2011

Caos Poste: l'ordine dei capi è negare tutto



Il blocco informatico delle Poste Italiane della prima settimana di giugno sembra ormai superato. Secondo le dichiarazioni dei vertici delle Poste, ora gli sportelli vanno a gonfie vele, e hanno superato il record di 10 milioni di operazioni al giorno, invece delle cifra "standard" di 8 milioni. Durante il blocco, si era scesi a  6 milioni di operazioni al giorno, ovvero due milioni di operazioni "arretrate" rispetto alla media giornaliera. Ovvero, milioni di italiani rimasti in coda.

Le nubi ormai si sono schiarite. Il futuro sembra roseo. Ma il passato è decisamente oscuro. Per diversi giorni, il caos delle Poste è stato "sulla bocca di tutti". Ne ha parlato perfino un periodico postale online americano. Se le Poste  o l'IBM (responsabile dei servizi informatici delle Poste) dovessero risarcire anche solo 10 euro per ogni operazione "saltata" durante il blocco, dovrebbero gestire richieste complessive di decine di milioni di euro. Troppo per le Poste. Troppo per l'IBM. Dopotutto, il nuovo sistema informativo delle Poste è costato "solo" 40 milioni di euro.

Il futuro è da "pizza e fichi". Ma bisogna fare i conti con il passato, con le richieste di risarcimento di migliaia di clienti imbufaliti, spalleggiati dalle associazioni dei consumatori. Bisogna fare i conti con gli ispettori inviati dal Ministero. Qualcosa bisogna pur inventarsi. Secondo un articolo di Daniele Martini, su "Il Fatto Quotidiano", i capi delle Poste avrebbero diramato una circolare interna che dà un ordine molto semplice: negare tutto. Non c'è mai stato nessun blocco alle Poste. Al massimo, c'è stato qualche rallentamento. Negare sempre, anche di fronte all'evidenza. Come faceva il generale Buttiglione. L'articolo completo è su questo link.

Cambiare il passato, riscrivere la storia ... queste cose mi sembra di averle già lette da qualche parte. Ah sì, ora ricordo. Le avevo lette su 1984, un vecchio romanzo di George Orwell. Questa "circolare negazionista" delle Poste potrebbe ispirare un remake del romanzo. Ovviamente, in versione amatriciana.

domenica 19 giugno 2011

Blocco Poste: quando il mainframe IBM va in tilt ...



Sarmi non fa più causa a IBM

Sembra che Massimo Sarmi, l'AD delle Poste, non voglia più fare causa a IBM per il blocco dei computers delle Poste della prima settimana di giugno. Stando alle ultime dichiarazioni  su L'Espresso, il blocco dei computers non sarebbe una cosa poi tanto grave. Cose che succedono ... E i battaglieri propositi di far causa a Big Blue, che ha fornito il computer mainframe del nuovo sistema informativo delle Poste, sembrano ormai dimenticati.

Nel frattempo, ogni tanto i computers di qualche ufficio postale vanno in tilt, ma non si vedono più le code chilometriche di inizio giugno.  Stando alle dichiarazioni dello stesso Sarmi, nella prima settimana di giugno c'è stata un'ecatombe: si è passati dagli abituali 8 milioni di pratiche giornaliere sbrigate dagli uffici postali di tutta Italia, ad appena 6 milioni. Questo vorrebbe dire, ipotizzando due pratiche (pensioni, bollettini, ecc.) per ogni utente, che nella prima settimana di giugno ogni giorno almeno un milione di utenti è stato "respinto" dalle Poste, quasi sempre dopo aver fatto lunghissime file. Stando ai numeri dettati da Sarmi, per i cinque giorni lavorativi della prima settimana di giugno si possono ipotizzare almeno 5 milioni di utenti insoddisfatti. Alcuni, probabilmente, proprio imbufaliti. Un record nazionale!


Il balletto per lo scarico delle responsabilità

Intanto, il balletto per lo scarico delle responsabilità del blocco delle Poste continua. I protagonisti sono:  l'IBM, che ha vinto, come capo commessa, la mega gara da 33 milioni di euro per il nuovo sistema informatico delle Poste; la HP, che ha fornito i servers per il database; e la Gepin, che ha prodotto il sofware SDP che gira sui 60mila PC delle Poste. IBM, HP e Gepin si sono consorziati per vincere la mega gara delle Poste, e non ci sono stati altri partecipanti. Praticamente, una gara vinta in regime di monopolio. Apparentemente, l'anello debole del nuovo sistema informativo delle Poste è l'architettura centralizzata fornita dall'IBM: al centro del nuovo sistema c'è un solo, costosissimo computer mainframe IBM con ben 200 CPU.




Nella nuova architettura informatica delle Poste, su ognuno dei 60 mila PC degli uffici postali gira il software SDP della Gepin, ma il mainframe IBM del datacenter di Roma controlla tutto: nessun terminale può far nulla se prima non si collega in rete con il mainframe romano. Dopo aver ricevuto la richiesta di effettuare un'operazione da un terminale di un ufficio postale, il mainframe IBM recupera i dati necessari (dati anagrafici, dati del conto, ecc.) dal database DB2 installato sui server HP e poi, se tutto va bene, esegue l'operazione. Sottolineiamo il "se tutto va bene". Gli intoppi possono essere tanti: il PC che va in tilt, la rete che va a singhiozzo, il mainframe IBM che non ce la fa, i server HP che litigano con il mainframe IBM. Ma è chiaro che il vero "collo di bottiglia" è il mainframe: unico, insostituibile. Tutto gira intorno al mainframe. Un pò come tutto girava intorno alla Terra nell'antico sistema cosmologico tolemaico.





E' paradossale pensare che i 60 mila computers delle Poste potrebbero comunicare direttamente tra loro, potrebbero comunicare su Internet con tutto il mondo (durante il blocco alcuni dipendenti delle Poste hanno anche comunicato su Facebook per cercare di capire cosa stava succedendo) ma non possono fare nulla di "postale" (pagamento pensioni, bollettini ecc.) se il computer centrale di Roma è bloccato. Internet (la "rete delle reti") è stata inventata, negli anni '60, proprio per prevenire questo tipo di problemi. E nel 2011, quando ormai tutti gli italiani hanno Internet a casa, si scopre che tutto il sistema informativo delle Poste dipende da un unico computer mainframe IBM!



Ipotesi sulle cause del blocco

Al di là delle considerazioni cosmologiche, secondo un articolo di L'Espresso la colpa del blocco dei computers sarebbe delle Poste, che avrebbero imposto a IBM, HP e Gepin di installare per il primo giugno una nuova versione del software di sportello SDP. Questo nuovo software non era stato collaudato a sufficienza, e così si è bloccato tutto. Per una settimana.

In realtà sembra sia andata in tilt una delle componenti più "antiche", e finora ritenute più affidabili, del software di sistema del mainframe IBM: il VTAM (Virtual Telecommunication Access Method). Il VTAM serve a far dialogare il mainframe IBM con i 60 mila terminali delle Poste e con i server HP Superdome del datacenter di Roma, dove sono memorizzati i dati del database DB2. Per risolvere il blocco, l'IBM ha addirittura coinvolto un centinaio di super esperti VTAM degli USA e del Canada. Al momento, non è ancora chiaro se il rallentamento del VTAM sia dovuto a limitazioni intrinseche o alla scelta, apparentemente infelice, di sovraccaricare il mainframe IBM obbligandolo a uno strettissimo colloquio con i server HP per gestire il database DB2. In teoria, visto che IBM e HP si sono consorziate quando hanno offerto alle Poste il nuovo sistema informativo, i loro computers dovevano andare d'amore e d'accordo. Ma qualcosa non ha funzionato.

Sui motivi del malfunzionamento del VTAM IBM c'è un'ipotesi "pierinesca" ma credibile: i computers IBM e HP comunicavano con uno standard di rete, il TCP/IP, che limita a 65 mila il numero di "porte" disponibili per il colloquio tra due computers. Se si superano le 65 mila "porte" TCP/IP, uno, o tutti e due, i computers che si stanno scambiano i dati vanno in tilt, o chiudono la comunicazione.
Nel caso delle Poste, sembra che sia stato il VTAM, il software che gestisce le comunicazioni del mainframe IBM, ad andare in tilt. Tenendo conto del gran numero di terminali delle Poste (60 mila) e del fatto che per ogni operazione il mainframe IBM potrebbe aver usato più di una "porta" TCP/IP per comunicare con i server HP, è possibile che il limite delle 65 mila "porte" TCP/IP sia stato superato. In questo caso, sia il mainframe IBM, sia i servers HP, avrebbero potuto andare in tilt, o interrompere le comunicazioni.
Il limite delle 65 mila "porte" TCP/IP può comunque essere aggirato in vari modi. Sempre a pensarci prima. Infatti si ipotizza che il blocco di un'intera settimana delle Poste sia dovuto  soprattutto alle modifiche software necessarie per "aggirare" il limite delle 65 mila porte TCP/IP.


Secondo l'ineffabile Dagospia (una fonte "di basso livello" e quindi intrinsecamente credibile) il problema del mainframe IBM delle Poste sarebbe stato il "running bag". Nei computers, i "running bag" sono, in parole semplici, liste di cose da fare (task list). Ad esempio, sui PC con Windows  la "gestione attività" ("task list") è un esempio di "running bag". Stando alla voce riportata da Dagospia, il mainframe IBM delle Poste si sarebbe "impallato" perchè il "running bag" VTAM si è riempito fino al limite, probabilmente a causa dello stress per i continui colloqui con i server HP che gestiscono il database DB2. Un pò come se un PC si "impallasse" quando uno gli collega l'hard disk esterno.

E' interessante osservare che l'IBM produce dei server simili ai Superdome HP attualmente usati dalle Poste, ma più costosi: gli IBM Power Systems. Ovviamente i servers IBM Power Systems comunicano a meraviglia con i mainframe IBM, visto che sono della stessa marca. Se le Poste avessero acquistato i servers IBM Power System, spendendo e preparandosi a spendere ovviamente di più, probabilmente il VTAM del mainframe IBM non si sarebbe bloccato, e il tilt della prima settimana di giugno non ci sarebbe stato. Il rovescio della medaglia è che le Poste si sarebbero trovate con un datacenter completamente "colonizzato" dall'IBM. Insomma, una sorta di "Banana Republic" dell'informatica (dopotutto, l'IBM è una multinazionale americana).
In ogni caso, sulla carta IBM sostiene a spada tratta che i suoi prodotti hardware e software sono pienamente compatibili con le marche concorrenti, come HP. Tant'è vero che il database DB2 installato sui server HP delle Poste, che pare abbia "stressato" il VTAM del mainframe IBM, è un software prodotto dall'IBM.

Se fossero confermate le voci sul "matrimonio forzato" tra il mainframe IBM e i server HP delle Poste, che a giugno ha provocato il blocco del mainframe, l'Italia si aggiudicherebbe il poco invidiabile primato mondiale di aver collaudato una nuova architettura informatica delicata e impegnativa (60 mila terminali, mainframe IBM, database DB2 su server HP) non nelle asettiche stanze di un laboratorio di sviluppo software, ma direttamente negli uffici postali, a spese dei milioni di italiani che hanno fatto la fila nella prima settimana di giugno. E tutto questo con il beneplacito di IBM e HP, che si sono consorziate nella mega-offerta da 33 milioni di euro per il nuovo sistema informativo postale. Garantendo implicitamente la piena compatibilità tra i loro sistemi.      


Le Poste e la crisi dell'architettura mainframe centrica




Credo che dal blocco delle Poste della prima settimana di giugno si possano trarre due lezioni:

  • l'architettura dei computer mainframe IBM è ormai al tramonto, perchè è poco affidabile (un solo mainframe per gestire migliaia di terminali) e non garantisce più abbastanza potenza di calcolo per i software attuali, sempre più affamati di CPU; per fare un esempio "terra terra", basti pensare che il mainframe IBM delle Poste che si è bloccato aveva 200 CPU per 60 mila terminali (una CPU ogni 300 terminali); il mio PC ha 4 CPU (che lavorano tutte per me); i cellulari più potenti hanno 2 CPU;

  • con il nuovo sistema informativo, le Poste sono andate "al risparmio", perchè l'architettura basata su un solo mainframe è molto più economica di un'architettura basata su diversi server locali (nel vecchio sistema informativo, le Poste avevano addirittura 14 mila server locali, uno per ogni ufficio); i disagi per le scelte, "risparmiose" ma per certi versi discutibili, delle Poste sono stati subiti dai poveri italiani in coda negli uffici postali: stando alle dichiarazioni dello stesso Sarmi, nella prima settimana di giugno le Poste avrebbero "saltato" addirittura due milioni di operazioni al giorno.

Su tutta la vicenda aleggia il quadro desolante dello sfruttamento che la Pubblica Amministrazione ottiene facendo gare di appalto al ribasso senza adeguate verifiche della qualità dei servizi; infatti, al di là delle cifre milionarie pagate per il mega appalto informatico delle Poste, sembra che il software di sportello SDP, realizzato dall'italiana Gepin, ed i servizi informatici di più basso livello nella gestione del sistema informativo siano stati spesso subappaltati a società che sfruttano lavoratori precari pagati poco più di una colf; insomma, quelli che il ministro Brunetta ha recentemente definito come "l'Italia peggiore".


    Gli ipotetici rimborsi delle Poste





    L'AD di Poste, Massimo Sarmi, ha promesso rimborsi per i clienti danneggiati.
    All'inizio, il CODACONS avrebbe chiesto addirittura 50 euro per ogni attesa superiore alle due ore. Esagerati! 
    Proviamo a fare un esercizio di semplice aritmetica, ipotizzando un rimborso medio di 10 euro per ognuna delle operazioni (due milioni al giorno, quindi dieci milioni in cinque giorni) "saltate" durante il tilt dei computers nella prima settimana di giugno. 10 euro a operazione sono un valore puramente indicativo, una media ipotetica tra i danni al pensionato che è rimasto in fila una giornata intera per avere i suoi 500 euro di pensione che gli servivano per sopravvivere (e credo abbia diritto ad almeno 100 euro) e il ragazzotto "smart" che, quando ha visto l'interminabile fila fuori dall'ufficio postale, è andato subito a pagare il suo bollettino dal tabaccaio (cioè non gli è cambiato niente).

    Applicando questo semplice esercizio aritmetico, con 10 euro di rimborso per ogni operazione saltata si arriverebbe a un totale di 100 milioni di euro di rimborso. Soldi che le Poste, o l'IBM (questo è ancora da capire) dovrebbero in teoria restituire agli italiani rimasti in coda davanti agli sportelli bloccati. Mica male! Se avessero ipotizzato il rischio di dover rimborsare 100 milioni di euro per danni, forse le Poste avrebbero realizzato un sistema informativo più costoso ma decentrato, veloce e (soprattutto) funzionante!
    O forse no? Dopotutto, la mega gara d'appalto delle Poste per la realizzazione del nuovo sistema informativo ha avuto un'unica offerta, quella dell'IBM. A voler essere cattivi, si potrebbe pensare che con 100 milioni di euro in più le Poste avrebbero ottenuto esattamente lo stesso sistema attuale. Ma pagandolo 100  milioni di euro in più.
    Ormai è troppo tardi per verificare queste ipotesi, e gli ipotetici 100 milioni di euro sono comunque andati in fumo. Temo che dovremo sorbirci ancora lunghe, lunghe code alle Poste. E temo che pochi dei poveretti rimasti in coda alle Poste vedranno mai una lira di rimborso. Sono pessimista?

    martedì 14 giugno 2011

    Computers bloccati alle Poste: potrebbe succedere di nuovo?









    Dal 1 al 7 giugno 2011 i computers di centinaia di filiali delle Poste Italiane sono andati in tilt, facendo perdere ore e ore in coda a migliaia di persone (in particolare, anziani in attesa di riscuotere la pensione). E' stata una settimana di passione, soprattutto per le persone anziane più indigenti, che vivono con pensioni basse, e che se non riscuotono la pensione magari non riescono neanche a pagare l'affitto.




    All'inizio le Poste hanno tentato di minimizzare il problema in maniera piuttosto goffa. Ad esempio hanno suggerito ai pensionati di farsi accreditare la pensione in una banca. Forse facendo finta di non sapere che per un anziano che prende 400-500 euro al mese anche l'apertura di un conto in banca può essere una spesa eccessiva. Dopo le proteste di tutte le associazioni dei consumatori, dopo un'interrogazione parlamentare del PD, e dopo che anche la Procura di Roma ha aperto un'inchiesta sui disservizi, le Poste hanno ceduto, e hanno promesso rimborsi ai clienti danneggiati (ma solo, a quanto sembra, in caso di code documentate e inevitabili). La prima settimana di giugno 2011 è stata terrificante non solo per quelli che erano in coda alle Poste, ma anche per i poveri impiegati che erano dietro gli sportelli. In questo forum ci sono alcune delle loro impressioni "a caldo"




    La Posta e l'IBM. Un feeling destinato a finire?





    Fin qui, in fondo niente di nuovo. Molti penseranno: "I postali sono i classici statali. La colpa del blocco dei computers delle poste è tutta loro". Ma non è esattamente così. Infatti il sistema informativo delle Poste è stato assegnato, con un appalto milionario, a un big dell'informatica mondiale: l'IBM. Solo l'anno scorso, le Poste hanno pagato all'IBM, per i servizi informatici, oltre 30 milioni di euro. E dopo il crash dei computers postali, Massimo Sarmi, l'AD delle Poste, annuncia di voler far causa all'IBM.
    In effetti l'IBM ha vinto, nel 2005, la gara europea multimilionaria per il rifacimento dell'intero sistema informativo delle Poste. Secondo Dagospia (una fonte intrinsecamente affidabile, tant'è vero che pare Sarmi voglia fare causa pure a loro) fino al 2010 Poste hanno versato all'IBM 90 milioni di euro per servizi informatici. E ... ciliegina sulla torta ... quest'anno IBM si è aggiudicata un altro mega-appalto da 150 milioni di euro. Peccato che, dopo questo grande feeling, ora Sarmi voglia far causa all'IBM per il crash del mega computer delle Poste.




    Il mainframe IBM delle Poste: un solo cervellone per fare tutto ?







    Veniamo al dunque ... che cosa ha bloccato le filiali delle Poste per la prima settimana di giugno? Sembra proprio che sia stato il mega cervellone del datacenter di Roma delle Poste, un costosissimo mainframe IBM,  che da inizio giugno ha cominciato a fare le bizze, mettendo in crisi i terminali delle Poste di mezza Italia.
    Qualcuno dirà: "Ma è possibile che nel 2011 un pensionato di uno sperduto paese della Sardegna non possa incassare sua la pensione se il computer centrale di Roma è rotto?". La risposta é: "Purtroppo ora è così". Nel vecchio sistema informativo delle Poste, ogni ufficio aveva un suo computer di riferimento (il cosiddetto "server"), e poteva svolgere parecchie operazioni in autonomia anche se il "cervellone" di Roma era guasto.  Nel nuovo sistema informativo delle Poste, per risparmiare sui costi si è deciso di eliminare i "server" che permettevano ai vari uffici di operare in autonomia. Ora tutti i PC delle Poste, anche quelli del più sperduto paesino della Val d'Aosta, non possono fare più nulla (pensioni, incassi, ecc.) se prima non comunicano con il computer centrale, il "cervellone" IBM di Roma. E se non c'è la linea, oppure se il "cervellone" fa le bizze ... non c'è niente da fare, si blocca tutto.
    E' chiaro che la soluzione di centralizzare tutto il database delle Poste in un unico mainframe IBM è molto più economica rispetto a quella di avere un server per ogni sede delle Poste. Ma è una soluzione vecchia, in stile anni '70, che presenta parecchie fragilità. Nel precedente sistema informativo, ogni ufficio delle Poste, con il suo "server", era un'isola a sè stante, e per molti aspetti poteva operare in autonomia.





    L'architettura del nuovo sistema informativo delle Poste.






    Il nuovo sistema informativo delle Poste, realizzato dopo la mega-commessa vinta da IBM, ha un'architettura molto (troppo) semplice. Al centro c'è un potentissimo mainframe dell'IBM, il classico "cervellone"; sui terminali (personal computers) dei vari uffici delle Poste gira una "piattaforma" di programmi applicativi, l'SDP (Service Delivery Platform), realizzato dall'italiana GEPIN.
    I 60 mila PC degli uffici delle Poste comunicano con il computer centrale di Roma via rete, con lo standard MPLS. MPLS è uno standard di rete molto usato, che permette di connettere tra di loro i computers di un'azienda usando una rete pubblica (ad esempio, la rete Telecom).
    Infine, il database centralizzato delle Poste è realizzato con software IBM (il DB2) con una particolarità: i servers su cui "poggia" il database sono prodotti dalla HP. In parole molto povere, i dati del database DB2 delle Poste sono memorizzati su hard disks dell'HP e non dell'IBM.
    Dopo il 1° giugno, quando i PC di molte filiali delle Poste hanno cominciato a bloccarsi, è iniziato subito il balletto per lo scarico delle responsabilità tra i fornitori del nuovo sistema informativo: l'IBM, la HP e la GEPIN.
    All'inizio, quando i computers delle filiali hanno cominciato a bloccarsi, la colpa del crash è stata attribuita a una nuova versione del software SDP, appena realizzata della GEPIN. In effetti forse SDP qualche problemino la aveva:  basta dare un'occhiata ai messaggi scritti su questo forum già nel 2010 dai poveri impiegati postali alle prese con il nuovo programma. In retrospettiva, leggendo i pensieri dei poveri impiegati postali, il blocco del sistema delle Poste sembrava un disastro annunciato già nel 2010. Ma la "goccia che ha fatto traboccare il vaso"  è stata la nuova versione del software SDP, rilasciata il 1° giugno 2011. Forse questa nuova versione di SDP non era stata collaudata a sufficienza prima di essere spedita via rete sui PC dei poveri impiegati delle Poste. Ma questo succede quasi sempre (anzi sempre) nel settore del software, quindi non c'è niente di strano.


    A inizio giugno 2011, dopo i problemi con SDP è cominciato uno strano "effetto domino". La storia è stata raccontata in un interessante articolo di Daniele  Lepido sul Sole 24 Ore; altri interessanti dettagli tecnici sono stati raccontati da Alessandro Longo in un suo post sul Corriere Comunicazioni. A quanto sembra, dopo i problemi con SDP ci sono stati problemi al software di rete del  computer centrale IBM, il VTAM, che è rimasto fermo per circa un'ora, interrompendo le connessioni con i circa 60 mila PC delle Poste. Un blocco della rete per circa un'ora non è poi così grave, può succedere. Ma, dopo il riavvio della rete, si è verificato un sovraccarico sul database DB2 dell'IBM, e sui server HP che memorizzano i dati. Secondo alcune voci di corridoio, il software  DB2 dell'IBM e i server dell'HP, pur essendo in teoria compatibili, in realtà non andavano molto d'accordo. Dopotutto, IBM e HP sono ditte concorrenti. In ogni caso, sembra che i server dell'HP siano sottodimensionati rispetto al carico di lavoro: forse le Poste abbiano risparmiato anche su questo.


    Vabbè, diciamolo: in pratica si è bloccato quasi tutto, per circa una settimana. Costringendo i poveri pensionati ad ore ed ore di fila agli sportelli delle Poste. Per essere precisi, il bilancio attuale sembra essere il seguente: il software SDP della GEPIN ha avuto (e forse ha ancora) dei difetti; il software di rete del mainframe IBM (il VTAM) ha avuto dei rallentamenti (per risolverli, l'IBM ha fatto anche la classica "mossa ad effetto", facendo arrivare in aereo alcuni super-esperti dagli USA); il database DB2 dell'IBM non sembra andare molto d'accordo con i server dell'HP; i server dell'HP sono sottodimensionati per il carico di lavoro.






    I computers delle Poste potrebbero andare ancora in tilt?






    Sì, i computers delle Poste potrebbero andare ancora in tilt. Il fatto che tutti i PC dei più sperduti  uffici postali di tutta Italia debbano comunicare con il "cervellone" IBM di Roma per tutte le operazioni da effettuare agli sportelli potrebbe esporre il sistema informativo delle Poste a nuovi blocchi in caso di problemi al datacenter di Roma.


    Con il nuovo sistema informativo le Poste hanno voluto risparmiare, eliminando i server intermedi che avrebbero dato più stabilità e più flessibilità al sistema. E' stata una scelta praticamente obbligata: un sistema informativo con server intermedi é molto più  complesso, più costoso da realizzare a da gestire, rispetto a un sistema con un solo computer mainframe al centro. In questi tempi di "vacche magre", nessuno si sarebbe preso la responsabilità di approvare altre scelte, molto più costose e anche più difficili da realizzare rispetto alla soluzione del mainframe IBM centralizzato. Il risvolto della medaglia è che il mainframe IBM, che ha un'architettura ormai "datata", potrebbe di nuovo stentare a sopportare il carico di lavoro dei 60 mila terminali delle Poste, e "fare i capricci", bloccando gli uffici postali di mezza Italia.