mercoledì 30 novembre 2011

Cos'è esattamente CasaPound?

Per chi avesse dei dubbi su che cos'è esattamente CasaPound ... ecco un loro manifesto del 2008.





Un solo commento: Arrestateli tutti!



Fonte: IndyMedia


Aggressione a Prati Fiscali arrestato 'Zippo' di CasaPound

Svolta nelle indagini sull'episodio avvenuto lo scorso 3 novembre. Fermato Alberto Palladino accusato di lesioni personali aggravate, detenzione di armi bianche e violenza privata

di MARTINA DI BERARDINO

 

Palladino è stato arrestato dai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Roma. L'aggressione della quale è accusato avvenne tra largo Valtournanche e via dei Prati Fiscali: un gruppo di 15 persone, con caschi e armate di bastoni e mazze ferrate, assalirono cinque esponenti del movimento giovanile del Partito democratico che avevano da poco terminato l'affissione di manifesti. Solo l'intervento casuale di una pattuglia dei carabinieri salvò i militanti del Pd dal pestaggio. L'esponente di Blocco Studentesco è da poco rientrato in Italia dalla Thailandia,  dove è stato qualche giorno dopo l'episodio di violenza.

Secondo quanto ricostruito dai carabinieri del reparto anticrimine del Ros e della compagnia Montesacro, sarebbe stato l'unico ad agire a volto scoperto. I militanti del Pd vennero medicati in ospedale per le lesioni riportate. Tra gli aggrediti c'era il capogruppo del Pd al IV municipio, Paolo Marchionne, che raccontò

di aver riconosciuto tra gli aggressori Palladino, un volto noto nella zona come militante di CasaPound. L'associazione negò qualsiasi coinvolgimento nella vicenda, minacciando querele.



Fonte: Repubblica

Lo stress è contagioso proprio come il raffreddore

Tecnicamente si parla di "stress passivo" e l'ultimo studio a confermarne la pericolosità arriva dall'università delle Hawaii. Colpisce più le donne. L'esperto: "Non è una malattia, ma può dare problemi. Chi subisce è una bomba pronta a esplodere"

di SARA FICOCELLI

 



IL VOSTRO capo entra in ufficio trafelato e automaticamente in voi sale l'agitazione. Vostro marito o vostra moglie si siete a tavola e comincia a parlarvi dei suoi problemi a lavoro, mandandovi di traverso la cena. Non si tratta di semplici insofferenze: in quei casi a impadronirsi di voi è lo stress. Che si trasmette all'organismo direttamente da chi vi sta accanto, proprio come il raffreddore. Per quanto il paragone sembri eccessivo è proprio così che funziona. Colleghi d'ufficio con le loro lamentele, familiari frustrati, figli rapiti dall'angoscia per un esame: tutto influenza l'umore, perché tocca direttamente il sistema nervoso e la psiche.

Tecnicamente si parla di "stress passivo" e l'ultimo studio a confermarne la pericolosità arriva dall'università delle Hawaii, condotto dagli psicologi Elaine Hatfield, John T. Cacioppo e Richard L. Rapson. Secondo la ricerca 1, intitolata "Emotional contagion", lo stress si comporta come una malattia: c'è un portatore iniziale che infetta gli altri, i quali lo covano fino a farlo esplodere, contagiando a loro volta altre persone. "Ci sono persone in grado di imitare le espressioni facciali, vocali e posturali altrui con una rapidità sorprendente. Sono le stesse che sono in grado di identificarsi emotivamente nelle altre vite", spiega la Hatfield.

Il fenomeno colpisce più le donne degli uomini, ragion per cui i giornali ne parlano come di un "contagio emotivo" femminile. Nei maschi l'effetto sembra meno evidente, probabilmente perché la donna è più portata a essere in sintonia con le sofferenze degli altri. Il problema è che queste emozioni negative, se sperimentate più volte, addormentano la capacità di resistervi e costringono la persona "contagiata" ad assumerle quasi fossero proprie. Spingendola persino ad adottare le posture fisiche del collega stressato.

Uno dei casi presi in esame racconta ad esempio di una giovane impiegata 26enne di Londra, felicemente sposata, entrata in crisi dopo aver ascoltato per filo e per segno le vicende del matrimonio della collega, finendo col litigare con il marito per problemi importati da un'altra famiglia. Quasi per liberarsene.

Pochi mesi fa un'altra ricerca dell'Accademia di Finlandia pubblicata su "European Journal of Developmental Psychology" ha rivelato che a pagare lo scotto dello stress e della tensione nervosa dei genitori sarebbero i figli, con ricadute negative anche sul rendimento scolastico.

I ricercatori hanno intervistato oltre 500 ragazzi e rispettive famiglie e le risposte hanno dimostrato come i genitori che vivevano un disagio fisico ed emotivo avessero maggiori probabilità di "contagiare" i figli, specie se dello stesso sesso.

Gli inglesi, che lavorano in media 48 ore a settimana, prendono molto sul serio il problema dello stress (sono stati loro a definirlo "la peste del 21° secolo", riprendendo la famosa definizione della depressione per quanto riguardava il secolo scorso) ma anche noi faremmo bene a preoccuparci.

Secondo un'indagine condotta su un campione di italiani fra i 18 e i 64 anni e promossa dall'Anifa (Associazione nazionale dell'industria farmaceutica dell'automedicazione), nel nostro Paese il fenomeno colpisce infatti 8 persone su 10, per lo più donne. E il 58% degli intervistati ha dichiarato che il proprio livello di stress è aumentato negli ultimi anni, principalmente a causa di lavoro (54%) e problemi economici (46%).

"E' un fenomeno assolutamente reale e assai diffuso. Ma lo stress non è una malattia. Bensì una reazione complessa dell'organismo, capace di svilupparsi in maniera anomala e provocare disagio e malattia, anche fisica. Fino all'esaurimento (exhaustion)", spiega lo stressologo Carlo Pruneti, responsabile del dipartimento di psicologia clinica dell'università di Parma. "Alcuni soggetti - continua - a causa della loro elevata capacità immaginativa, emozionale ed empatica, reagiscono all'ansia in modo particolare, e per i più sensibili la cosa sfocia nel cosiddetto "disturbo di dipendente di personalità" ".

Senza toccare necessariamente la patologia, ci sono persone che cercano e in qualche modo trovano conferme prevalentemente all'esterno di sé: "In particolare - spiega Pruneti - possono venire influenzate più di altre da comportamenti, descrizioni e racconti. Questo tipo di individui, definiti dagli psicologi "esteriorizzanti", sono più sensibili e suggestionabili e si pongono in una situazione di vulnerabilità poiché il "peso" delle parole e dei giudizi altrui è, per loro, particolarmente elevato".

In alcuni casi, infatti, la tendenza ad appoggiarsi agli altri può coincidere con una mancata conferma. Non sempre amici e colleghi possono offrire a chi è più fragile l'attenzione o l'aiuto più o meno tacitamente richiesti per un evento o situazione negativa (come nel caso di uno stato di disagio o malattia) e in questi casi la persona bisognosa di conferme va incontro a una "crisi" del proprio sistema di convinzioni, reagendo con ansia o depressione, perché privata dei punti di riferimento necessari.

"Vi sono poi persone - continua l'esperto - che non sono di per sé dipendenti ma che tendono a "esternalizzare" le proprie sensazioni e sentimenti, anche in maniera indiscriminata. Il fenomeno è più presente nel sesso femminile, che spesso interpreta in maniera egocentrica il concetto di amicizia, sentendosi autorizzato a utilizzare l'altro come un vero e proprio contenitore nel quale riversare i propri problemi, descritti quasi sempre con toni catastrofici".

L'esperto spiega anche che spesso queste persone hanno uno scarso senso dell'opportunità e del tempismo e che possono tranquillamente telefonare alle due di notte per "sfogarsi" con l'amica, o "aggredire" la collega confidente appena entrata in ufficio iniziando a sfogarsi con lei prima ancora che si sia levata il capotto e seduta alla scrivania. "Questo persone - precisa - sono delle vere e proprie "bombe" innescate e pronte a esplodere, spesso generando reazioni a catena nell'ambiente che le circonda".

Come contraltare vi sono poi dei soggetti dotati di un elevato grado di sensibilità e con più o meno atavici sensi di colpa (fenomeno sociale discretamente diffuso ad esempio in un Paese cattolico come l'Italia), affetti dalle cosiddette sindromi di San Francesco o di Maria Teresa di Calcutta. "Sono persone che, con apparente pazienza e molta rassegnazione - spiega Pruneti - ascoltano, subiscono e raramente reagiscono al sopruso di sentirsi rovesciare addosso i fatti dell'altro, in un rapporto assolutamente impari del tipo "ascolto il 90% del tempo e parlo o mi confido per il 10% quando va bene".

Questi soggetti finiscono così col subire l'altro con una certa passività, pur essendo di solito vivaci e attivi e proprio per queste loro qualità presi di mira e "spremuti".  Fungere da "deposito" e cercare di gestire le disgrazie e le sofferenze altrui non è insomma cosa semplice ed è bene tener presente la cosa prima di confidare i propri grattacapi all'amico, collega o compagno di turno. Onde evitare che la "bomba" esploda.

 
(30 novembre 2011)

Fonte: Repubblica
 

I periodici online non sono “stampa periodica”.





martedì 29 novembre 2011

Gli schiavi del pc low cost




Un secondo per ogni pulsante, 3.250 volte l’ora, con turni di 12 ore, 7 giorni la settimana, a 64 centesimi di dollaro l’ora. Ecco come si lavora a Meitai, in Cina, per rifornire Ibm, Dell e altri clienti occidentali.

L’organizzazione statunitense National labor committee ha diffuso un rapporto sulle condizioni di lavoro nella fabbrica Meitai, a Dongguan, nella Cina meridionale, che produce tastiere e altre apparecchiature per computer, e che ha tra i propri clienti Hewlett-Packard, Dell, Lenovo, Microsoft e Ibm. I circa duemila operai, per i tre quarti donne giovani, sono istruiti dai capi ad «amare la compagnia come fosse la vostra casa», a «tendere sempre alla perfezione» e a controllarsi «attivamente l’un l’altro».

Davanti agli operai scorrono 500 tastiere l’ora e per ognuna di esse ciascun dipendente deve inserire sei-sette pulsanti. Il tempo per ogni pulsante è di 1,1 secondi, e l’operazione deve essere ripetuta, con un ritmo implacabile, 3.250 volte l’ora, 35.750 volte al giorno, 250.250 ogni settimana, oltre un milione di volte al mese. I turni sono di undici/dodici ore al giorno, sette giorni la settimana, con solo due giorni di pausa al mese. Gli straordinari sono obbligatori. Chi si prende una domenica di festa straordinaria si vede trattenere due giorni e mezzo di salario. La paga base è di 64 centesimi di dollaro l’ora, che si riducono a 41 centesimi una volta dedotte le spese di vitto in fabbrica.
Gli operai non possono parlare, ascoltare musica, neppure alzare la testa per guardarsi intorno. Devono tagliarsi periodicamente le unghie o vengono multati, non possono andare in bagno sino al momento della pausa, sono perquisiti all’uscita. Devono rimanere in fabbrica quattro giorni la settimana e non possono uscire neppure per una passeggiata. Dormono in letti a castello, in 10-12 per stanza, senza privacy. Per avere acqua calda devono fare diverse rampe di scale, riempiendo piccoli secchi di plastica.

Il National labor committee fa notare che la Cina sovvenziona generosamente i suoi esportatori, mentre il disavanzo commerciale degli Stati Uniti verso la Cina, nel settore dei prodotti di tecnologia avanzata, dovrebbe aver raggiunto, nel 2008, i 74 miliardi di dollari.
In America sono stati persi 1,4 milioni di posti di lavoro nel settore dell’assemblaggio elettronico, dove la paga è tra i 12,72 e i 14, 41 dollari l’ora e non è competitiva con i bassi salari e la repressione dei diritti dei lavoratori in Cina.
Charles Kernaghan, direttore dell’organizzazione autrice del rapporto su Meitai, sottolinea che «un personal computer a 200 dollari e una tastiera a 22,9 possono sembrare un grande affare, ma lo sono a un prezzo terribile».
Da parte loro, le aziende occidentali promettono di indagare sulle accuse contenute nel dossier e di effettuare ispezioni congiunte nella fabbrica di Meitai, per verificare la situazione.

di Beniamino Bonardi

27 febbraio 2009 

Fonte: Left

Il mobbing e la precarizzazione dell’esistenza



Oggi ho scoperto per caso, su un sito Web della CGIL Lombardia, un documento estremamente interessante: "Il mobbing e la precarizzazione dell’esistenza" di Susanna Ripamonti. Ecco alcuni degli argomenti trattati:


  • Come si inscrivono sul corpo i rapporti di potere
  • I segni della malattia
  • Resoconti delle persone coinvolte
  • Il paradigma dell’incorporazione
  • Calibrare lo sguardo in un’ottica antropologica
  • Dal corpo espropriato al corpo ribelle
  • Bourdieu e la domesticazione dei corpi
  • Foucault e la scoperta della bio-politica
  • La dissoluzione dell’unità uomo/cittadino
  • Narrative di fabbrica
  • Il dislocamento
  • Il potere economico
  • Il potere giudiziario
  • Il potere bio-medico
  • Il potere politico
  • La cultura del lavoro
  • Il corpo sconfitto e la dissoluzione del sé
  • Narrazioni di malattia
  • La non adesione al regime terapeutico
  • L’anestesia del farmaco
  • La medicalizzazione del conflitto
  • «La licenzio, lei è una spia»
  • Due mesi a far barchette di carta
  • Il rituale di inversione della lotta di classe
  • La lente del paradigma dell’incorporazione



    Il testo completo del documento è su questo link:






    Commenti on line dei lettori - La testata web non è responsabile

     

    Assolta in Cassazione l'allora direttore dell'edizione elettronica dell'Espresso Daniela Hamaui. La motivazione: "Impossibile impedire preventivamente la pubblicazione di commenti diffamatori" per i 'post' inviati al giornale digitale a commento di articoli. La Suprema corte individua anche le differenze tra pubblicazione cartacea e pubblicazione Internet.

    Ai direttori delle testate on-line - per i quali la Cassazione ha già stabilito che non si possono applicare le norme sulla stampa - non si può nemmeno addebitare la responsabilità di non aver rimosso dal sito un commento inviato da un lettore e ritenuto diffamatorio.

    Lo sottolinea la Cassazione che ha annullato senza rinvio la condanna per omesso controllo nei confronti dell'ex direttore dell'edizione on-line dell'Espresso Daniela Hamaui. Ai supremi giudici, il legale di Hamaui ha fatto presente che l'articolo incriminato "non era un commento giornalistico, ma un 'post' inviato alla rivista e cioè un commento di un lettore che viene automaticamente pubblicato, senza alcun filtro preventivo".

    Consapevoli delle peculiarità delle edizioni on-line, i giudici di merito della Corte di Appello di Bologna avevano addebitato al direttore non l'omesso controllo ma l'omessa rimozione del commento. In questo modo, però, ha obiettato il legale, si "stravolge la norma incriminatrice che punisce il mancato impedimento della pubblicazione e non invece l'omissione di controllo successivo".
    Accogliendo le obiezioni difensive, la Suprema Corte - con la sentenza 44126 - rileva che tra l'editoria cartacea e quella elettronica non c'è solo una "diversità strutturale" ma "altresì la impossibilità per il direttore della testata on-line di impedire la pubblicazione di commenti diffamatori, il che rende evidente che la norma penale che punisce l'omesso controllo non è stata pensata per queste situazioni, perchè costringerebbe il direttore ad una attività impossibile, ovvero lo punirebbe automaticamente ed oggettivamente, senza dargli la possibilità di tenere una condotta lecita".   

    Per quanto riguarda le differenze tra on-line e stampa cartacea, la Cassazione ricorda che "perchè si possa parlare di stampa in senso giuridico, occorrono due condizioni: che vi sia una riproduzione tipografica e che il prodotto di tale attività (quella tipografica) sia destinato alla pubblicazione attraverso una effettiva distribuzione tra il pubblico". Le testate elettroniche difettano di entrambe i requisiti perchè "non consistono in molteplici riproduzioni su più supporti fisici di uno stesso testo originale", e perchè vengono diffuse "non mediante la distribuzione". 

    (29 novembre 2011)






    domenica 27 novembre 2011

    L'IBM e l'olocausto


    E' ormai introvabile in Italia il libro di Edwin Black del 2001: "L'IBM e l'olocausto", che descrive il ruolo svolto dall'IBM nel censimento e nella deportazione degli ebrei durante il nazismo. Peccato, perchè i temi del libro (il ruolo che le tecnologie informatiche possono avere a supporto dei sistemi totalitari) sono sempre drammaticamente attuali: basti pensare al caso della Cina, che per diversi anni ha controllato direttamente Google.

    Il libro di Edwin Black descrive in modo dettagliato e documentato il ruolo svolto dall'IBM, attraverso la sua sussidiaria tedesca Dehomag, nel censimento della popolazione tedesca del 1933, che portò alla schedatura di milioni di ebrei. All'epoca i computers elettronici non esistevano, e le informazioni del censimento venivano registrate su schede perforate, che poi venivano elaborate con selezionatrici elettromeccaniche. Tutta la tecnologia necessaria (schede perforate, macchine perforatrici, macchine selezionatrici) era stata fornita dall'IBM. All'epoca la Germania era il maggiore cliente IBM dopo gli USA. Thomas J. Watson, il fondatore dell'IBM, si recò più volte in Germania per seguire personalmente il lavoro della Dehomag durante il censimento organizzato dai nazisti.



    Per ogni gruppo etnico (ebrei, zingari ecc.) sulle schede perforate IBM c'era un apposito codice numerico. Le informazioni registrate sulle schede, elaborate per mezzo delle selezionatrici elettromeccaniche IBM, permisero di individuare e deportare milioni di ebrei verso i campi di concentramento in tempi rapidissimi, impensabili per l'epoca senza la tecnologia fornita dall'IBM. In particolare, grazie alle selezionatrici IBM i nazisti riuscivano a individuare con estrema efficienza le persone con cognome tedesco ma discendenti da famiglie ebraiche.


    Un poster pubblicitario Dehomag del 1934 rappresentava un occhio che,   emettendo un raggio di luce,  scrutava una città dal cielo. Sul poster c'era anche il profilo di una scheda perforata IBM. Nell'insieme, l'immagine era decisamente inquietante. Lo slogan del poster recitava più o meno: "Potete controllare tutto con le schede perforate Hollerith". Le schede perforate IBM all'epoca si chiamavano "schede Hollerith", dal nome del loro inventore, l'americano Hollerith.

    I rapporti tra Thomas J. Watson, il "boss" dell'IBM, e Adolf Hitler, restarono ottimi fino allo scoppio della guerra tra USA e Germania. Nel 1937 Hitler assegnò addirittura a Watson un alto riconoscimento nazista, l'"Ordine dell'Aquila Tedesca",  che Watson restituì ufficialmente alla Germania solo nel 1940, quando la guerra tra USA e Germania stava per essere dichiarata. Il riconoscimento era più che meritato: in quegli anni l'IBM deteneva il monopolio sulla tecnologia della schede perforate, e senza la tecnologia IBM difficilmente le idee deliranti di Hitler si sarebbero concretizzate in un sistema così efficiente per la  deportazione e lo sterminio di milioni di ebrei tedeschi.



    L'IBM mantenne il controllo della Dehomag fino al 1941, quando gli USA dichiararono guerra alla Germania. Dopo la seconda guerra mondiale, la Dehomag rientrò tra le sussidiarie dell'IBM.

    Nel 2001, dopo la pubblicazione del libro di Edwin Black, l'IBM versò tre milioni di dollari a un fondo speciale tedesco creato per risarcire le vittime dell'Olocausto. Il libro di Edwin Black, esaurito in Italia, è comunque disponibile in inglese, in formato e-book.

    Il filmato che segue, in inglese, riporta interviste ad alcuni intellettali americani (tra cui il filosofo Noam Chomsky, il regista Michael Moore e l'autore del libro, Edwin Black) sul rapporto tra nazismo e multinazionali americane nel periodo precedente la seconda guerra mondiale, e sul ruolo svolto dall'IBM durante l'Olocausto.



    Il regista Michael Moore ricorda, nel filmato, che prima della seconda guerra mondiale diverse  multinazionali americane (Standard Oil, Coca-Cola, Ford, IBM) erano in ottimi rapporti con il fascismo ed il nazismo. Questo era più che comprensibile: quale sistema migliore di una dittatura per incrementare la produttività aziendale? C'è però una differenza fondamentale tra le altre multinazionali e l'IBM. La Standard Oil produceva prodotti petroliferi, la Coca-Cola produceva bevande, la Ford produceva auto. L'IBM, invece, si occupava soprattutto di registrazione e controllo delle informazioni, un settore fondamentale per ogni dittatura degna di questo nome. Ed oggi la tecnologia ha fatto enormi progressi. L'immagine qui sotto è tratta da una pagina Web dell'IBM USA, per il settore "Public Safety".




    Due elementi ricordano quelli del poster Dehomag del 1934: una città vista dal cielo, un raggio di luce. Ma invece della scheda perforata c'è un'impronta digitale. Qualcosa è cambiato.




    Per approfondire:




    http://www.guardian.co.uk/books/2001/feb/18/historybooks.features

    lunedì 14 novembre 2011

    Google, il blogging e lo squadrismo




    Cosa c'entrano Google e il blogging con lo squadrismo e la libertà di stampa? Forse c'è un nesso. Il discorso è un pò complesso, e parte da lontano.

    Nel 2007 un impiegato di Roma, Nicola L., subisce un'aggressione apparentemente immotivata mentre si reca in auto al lavoro, in zona San Giovanni. Nicola L. si ritrova con una frattura al setto nasale (provocata da un calcio, una mossa di kick-boxing), un orecchio quasi staccato (l'aggressore ha usato probabilmente un tirapugni), danni all'articolazione temporo-mandibolare e 40 giorni di prognosi. Giacchè c'è, l'aggressore gli sfonda pure a calci il parabrezza dell'auto.

    L'aggressore scappa, ma qualche mese dopo si fa ritrovare "casualmente"  diverse volte vicino casa dell'aggredito, sempre in zona San Giovani. Nicola L. riesce a fotografare l'aggressore, che, grazie anche alle foto scattate, viene identificato. In teoria le foto servirebbero a dimostrare che l'aggressore lo sta perseguitando, ma ottengono l'effetto opposto: proprio a causa delle foto, Mario B., l'aggressore, denuncia l'aggredito, Nicola L., per molestie e violazione della privacy.

    Ovviamente le denunce fatte da Mario B. vengono archiviate.

    Nel 2008 Mario B. riesce a patteggiare, prima ancora che abbia inizio il processo, sei mesi di reclusione, una pena insolitamente "soft" per quel  tipo di aggressione. Ma continua a perseguitare Nicola L., l'aggredito, con varie denunce e controdenunce, alcune con tanto di falsi testimoni.

    Nicola L. comincia a "perdere colpi" e ad avere problemi sul lavoro. Si rende conto del fatto che l'aggressore non è una persona "qualunque", magari uno dei tanti automobilisti che "sbottano" mentre guidano sotto l'effetto della cocaina. Mario B. è un vero e proprio "picchiatore di quartiere", esperto di kickboxing, che frequenta ambienti di destra, ed ha "amici" (e testimoni) a destra e a sinistra.

    Prima dell'aggressione del 2007, Nicola L. non aveva mai visto il "picchiatore" in vita sua. Ma forse aveva "dato fastidio" a un "bullo di quartiere", un negoziante che parcheggiava sistematicamente il furgoncino "in doppia fila" proprio sotto casa sua. Il negoziante l'aveva minacciato, e aveva anche tentato di aggredirlo. Due vicini di casa avevano detto a Nicola L. che mettersi contro persone del genere poteva essere molto rischioso. Nicola L. non ci aveva badato: cambiar casa solo per aver litigato col negoziante sotto casa gli sembrava una cosa francamente eccessiva. Forse aveva sbagliato.

    Nicola L. era, anche prima dell'aggressione, una persona molto isolata socialmente. Dopo l'aggressione si è ritrovato ancora più isolato, e soprattutto più squattrinato, a causa delle spese mediche (psicoterapia compresa) sostenute dopo l'aggressione.

    Nicola L. lavora nel settore dell'informatica (per essere precisi, è proprio laureato in informatica) e, sia per lavoro sia a tempo perso, si occupa di blogs e social networks. Come del resto fanno molte altre persone isolate socialmente. Quasi cercassero sulla Rete la socializzazione che gli manca nella vita reale.

    Nel 2010, dopo l'ennesima controdenuncia falsa fatta da Mario B., Nicola L. decide di pubblicare tutta la storia, compreso il nome e le foto dell'aggressore, in un suo blog ("Il Contastorie").

    La storia pubblicata da Nicola L. nel suo blog è una specie di messaggio in una bottiglia, una delle tante storie, più o meno attendibili, perse nei milioni di blogs della Rete. La maggior parte di questi blogs è solo spazzatura. Ma qui arriva Google. I sofisticati algoritmi del motore di ricerca indicizzano, nel giro di pochi mesi, tutta la storia pubblicata sull'anonimo blog di Nicola L. . Secondo Google, la storia pubblicata da Nicola L. non è affatto spazzatura, anzi. Al punto che Mario B., il "picchiatore", si ritrova etichettato e "sbattuto in prima pagina" da Google.

    Mario B. reagisce denunciando il blogger, Nicola L., per stalking (una delle tante denunce false fatte con "amici" e testimoni compiacenti) ma soprattutto per diffamazione a mezzo stampa. A Mario B. non va di essere etichettato da Google come un "picchiatore di destra". Anche se non nega di esserlo. D'altra parte il blogger, Nicola L., ha raccontato la storia dell'aggressione solo sul suo anonimo blog, uno dei milioni di blogs sparsi nel Web. Nicola L. sostiene di aver raccontato la sua storia attenendosi ai limiti della netiquette. Tutto ciò che Nicola L. racconta (comprese le foto scattate a Mario B.) sembra decisamente vero. Anzi, di più: documentato. Con tanto di foto. Non è stato certo Nicola L. a dire a Google che la sua storia era interessante, al punto da portarla ai primi posti del motore di ricerca. Riuscire a "pilotare" le scelte di Google, il più sofisticato e complesso motore di ricerca del Web, è un obiettivo estremamente ambizioso per chiunque. Anche se esperto di informatica.

    Il tipo di aggressione condotta nel 2007 da Mario B. (con tanto di "tirapugni" e parabrezza dell'auto sfondato) ricorda per alcuni aspetti (è stata completamente inaspettata ed estremamente violenta) una delle tante aggressioni fatte a Roma da "picchiatori di quartiere", soprattutto militanti di CasaPound, che picchiano e poi scappano. Ormai a Roma le aggressioni di questo tipo (vere e proprie incursioni) effettuate contro militanti di sinistra si contano a decine. Apparentemente queste aggressioni servono ad affermare una sorta di "supremazia territoriale" sui quartieri romani controllati dall'estrema destra.


    Nicola L., un cinquantenne un pò sovrappeso, non è mai stato un militante di sinistra; al massimo, un simpatizzante. Le motivazioni dell'aggressione vanno cercato altrove. Infatti l'aggressione subita da Nicola L. nel 2007 ricorda per altri aspetti quella subita da un giovane musicista a Roma, nel Rione Monti, nell'estate 2011. Purtroppo questo ragazzo è stato ridotto in fin di vita da quattro "picchiatori", ed è ancora in coma, solo per aver litigato con uno degli abitanti del Rione Monti, che poi aveva chiesto l'"intervento" dei "picchiatori". Speriamo che questo ragazzo riesca a riprendersi. Il blogger, Nicola L., che era stato più volte minacciato da un "bullo" che aveva un negozio sotto casa sua, è stato molto più fortunato: ha speso migliaia di euro in spese mediche, ha paura di uscire di casa, e prende psicofarmaci per dormire. Ma dopotutto è ancora vivo, e per adesso va ancora al lavoro. E ogni tanto riesce anche a scrivere su qualche blog.

    Il processo per "diffamazione a mezzo stampa" intentato nel 2011 dal picchiatore (Mario B.) contro il blogger (Nicola L.) che ha documentato l'aggressione dovrebbe stabilire se, a livello sociale,  prevale il "diritto all'oblio" e alla privacy del "picchiatore", o il diritto dell'aggredito (e del blogger) di documentare l'aggressione subita nel 2007.

    Indipendentemente dal risultato del processo, sembra che Google abbia già deciso: la storia pubblicata su un anonimo blog nel 2010, come un messaggio in una bottiglia nell'immenso mare della rete, non è solo spamming, non è solo "spazzatura della rete". E' una storia che va raccontata. Non è certo una storia da pubblicare in prima pagina, ma è una storia che forse è meglio non dimenticare. 







    Squadrismo: Temi di approfondimento



    1919.




    Lo squadrismo è un fenomeno nato in Italia, con il fascismo, a partire dal 1919. Le squadre di "picchiatori" fascisti, le cosiddette "camicie nere",  operavano soprattutto a livello di quartiere, picchiando comunisti o persone socialmente deboli (vagabondi, persone con problemi psichiatrici) in modo da dimostrare alla popolazione di avere il totale controllo sul territorio. Lo squadrismo era una sorta di "polizia" alternativa, controllata direttamente dal partito fascista. Che si insediò al governo tre anni più tardi, nel 1922.
    Le spedizioni degli squadristi avvenivano con la tacita complicità della polizia, per cui denunciare era inutile. A volte gli squadristi esageravano, e ci scappava il morto. In questi casi, l'ordine era negare tutto, affermare che era stato solo un incidente, dovuto a una banale lite. Con la complicità della stampa, che, se anche riportava le aggressioni, le classificava come sfortunati incidenti. Nel 1922, dopo la presa del potere, il problema fu risolto alla fonte: Mussolini assunse il controllo totale sia della polizia sia dei mezzi d'informazione.


    1921.

    Hitler dichiarò  apertamente di essersi ispirato allo squadrismo fascista per le sue "camicie brune" (Sturmabteilungen), le squadre di "picchiatori" nazisti costituite nel 1921. Le "camicie brune" naziste operavano con la stessa tecnica dei "picchiatori" fascisti (azioni violente contro comunisti o soggetti socialmente deboli, emarginati, persone con problemi psichiatrici) ma avevano come principale obiettivo gli ebrei, che invece in Italia furono risparmiati dal fascismo fino al 1938.

    2003.
     



    Nel 2003, dopo l'insediamento del sindaco Alemanno a Roma, CasaPound, un'organizzazione di estrema destra, occupa uno stabile in Via Napoleone III.


    2011.




    Nel 2011 una organizzazione di estrema destra inglese, Blood & Honour, apre una sede a Roma.





    venerdì 11 novembre 2011

    Wiki Mobbing. Il caso del dott. N. (e-mail inviata all'ing. Daniele B. il 4.2.2011)


    Il caso del dott. N. .


    Mobbing. I nomi possono cambiare, gli episodi possono cambiare, ma sembra che il mobbing sia un processo preciso e inarrestabile. O no? 

    (e-mail inviata dal dott. N.L. all'ing. D.B. il 4 febbraio 2011)
     


    Daniele,

    facendo seguito a quanto mi hai comunicato per le vie brevi in relazione ai permessi a recupero in ingresso dei quali ho finora usufruito (ingressi dopo le ore 10:00), ti preciso che:

    • a partire dal 2005 usufruisco dello spostamento in avanti dell’orario d’ingresso (ingresso fisso alle 10:00); a causa di tale spostamento, che mi è stato praticamente “imposto” dal mio precedente Capo Area DSSA per ragioni non del tutto chiarite, ho perso il diritto alla “flessibilità” in ingresso (ingresso dalle 7:30 alle 9:00); il fatto di poter lasciare il lavoro solo dopo le 18:10 mi ha causato, tra il 2005 e il 2007, significativi problemi a livello di vita personale e di relazione;

    • preciso che il permesso di spostare in avanti l’orario d’ingresso, basato sull’Art. 28, Nota 4, del Regolamento del Personale, non sembra richiedere particolari giustificazioni di tipo medico/sanitario, a patto che sia compatibile con le esigenze di organizzazione del Servizio; ad esempio ne usufruisce, a partire dal 2001, anche l’ing. De Caro, che non mi risulta abbia particolari problemi di salute;

    • lo spostamento in avanti dell’orario d’ingresso (nel mio caso, ingresso alle 10:00) fa perdere il diritto alla flessibilità in ingresso, ma ovviamente lascia il diritto ai permessi a recupero in ingresso (Art. 31, Comma 3 del Regolamento del Personale); inoltre mentre, stando al Regolamento, i permessi a recupero dovrebbero essere accordati (di norma nel limite di due ore settimanali) solo per motivate esigenze personali e familiari; in realtà, molti dipendenti (anche di livello direttivo) del CDM usufruiscono di tali permessi durante l’intervallo di pranzo semplicemente per andare a fare jogging, andare in palestra, o seguire corsi di ballo;

    • stando al Regolamento del Personale, oltre ai permessi a recupero in ingresso (di norma, ma non necessariamente, fino a due ore settimanali), i dipendenti possono usufruire anche di: permessi sanitari (cod. 28, fino a 37 ore e 30 minuti all’anno), congedo frazionato per festività soppresse (6 giorni, ovvero 45 ore all’anno), Banca delle Ore; facendo qualche calcolo sommario, queste altre tipologie di permessi corrispondono ad almeno un centinaio di ore all’anno, ovvero a due ore di permesso a settimana; per questi permessi, il Regolamento non sembra imporre una distribuzione particolare; ovvero, leggendo il Regolamento sembra che queste quattro ore complessive settimanali, se compatibili con le esigenze di servizio, possano essere tutte dedicate a permessi in ingresso;

    • a partire dal 2007 ho avuto vari (documentati) problemi di tipo medico/sanitario, che mi hanno costretto ad usufruire di tutte le tipologie di permesso prima elencate (permessi sanitari, permessi a recupero, ecc.) arrivando ad accumulare, negli ultimi due mesi del 2010, addirittura qualche ora di negativo; tali problemi sono stati peraltro ampliamente documentati;

    • per quanto al momento (inizio 2011) la mia situazione medico/sanitaria sia in via di miglioramento, temo che avrò bisogno, ancora per diversi mesi, di almeno due ore complessive settimanali di permessi a recupero in ingresso, a partire dall’orario d’ingresso attualmente concordato (le 10:00); ti prego quindi di farmi sapere, sulla base della certificazione sanitaria che ti allegherò, se ritieni che io abbia diritto, o meno, alle due ore settimanali di permessi a recupero previste (di norma) dal Regolamento; ovviamente ti prego di tener conto, nella tua risposta, del fatto che diverse persone del CDM, ed anche della Divisione, usufruiscono di permessi a recupero (durante l’intervallo di pranzo) semplicemente per andare a fare jogging o per seguire corsi di ballo; le motivazioni per i miei permessi a recupero sembrano (almeno a me) decisamente più serie.


    Wiki Mobbing. Il caso del dott. N. . Due pesi e due misure?



    I nomi possono cambiare, gli episodi possono cambiare, ma sembra che il mobbing sia un processo preciso e inarrestabile. O no?


    Ecco alcuni estratti da una e-mail inviata dal dott. N. all'ing. Domenico A. e al dott. Stefano F. il 7 febbraio 2011:












    Domenico, come ti ho anticipato telefonicamente, mi piacerebbe ricevere dei chiarimenti riguardo al mio orario d’ingresso, che, come forse ricorderai, è stato spostato dalle 9:00 alle 10:00. A causa di tale spostamento, che mi è stato praticamente “imposto” dalla ex Divisione SSA, ho perso il diritto alla “flessibilità” in ingresso (ingresso dalle 7:30 alle 9:00).


    Lo spostamento “in avanti” dell’orario d’ingresso mi era stato prospettato più volte, a partire dal 2001, dal mio precedente Capo Area, il dott. Stefano F. . Nel 2001 il dott. Francesco D., della DSvAI, aveva presentato una richiesta analoga, ed aveva ottenuto lo spostamento dell’orario d’ingresso alle 10:30. A partire dal 2001, declinai più volte le”offerte” di spostamento d’orario del dott. Stefano F. , perché il dott. Stefano F. sosteneva che, in conseguenza di tale spostamento, avrei perso il diritto alla flessibilità. In altre parole, se ad esempio avessi spostato l’orario d’ingresso alle 10:00 e poi fossi arrivato alle 9:30, secondo il dott. Stefano F. la mezz’ora di lavoro compresa tra le 9:30 e le 10:00 non sarebbe stata conteggiata ai fini della prestazione lavorativa. Ovviamente, a tali condizioni lo spostamento di orario diventava decisamente svantaggioso: si sarebbe trattato in pratica di un “turno” senza indennità di turno, e senza la durata ridotta dei turni (7 ore invece 7 ore e 30 minuti).












    Diversi anni dopo, a inizio 2011, il dott. N. scopre casualmente che il dott. Francesco D., che aveva usufruito dello spostamento dell'orario in ingresso alle 10:30 tra il 2001 al 2011, non seguiva nessuno orario "rigido", ma entrava quando gli pareva: sia prima delle 10:30 (in questo caso gli veniva riconosciuto un plus orario in ingresso) sia dopo le 10:30 (in questo caso gli veniva riconosciuto un permesso a recupero in ingresso). Due pesi e due misure?




    Nel 2006, due dirigenti della banca (il dott. Domenico A. e il rag. Francesco R.) consigliano "vivamente" al dott. Nicola L. di chiedere, "per il suo bene", uno spostamento dell'orario d'ingresso su un orario fisso, alle 10:00, come aveva fatto a suo tempo il dott. Francesco D. I due dirigenti insistono sul fatto che, facendo tale richiesta, avrebbe comunque perso il diritto alla flessibilità in ingresso tra le 7:30 e le 9:00 prevista dal Regolamento. Il dott. Nicola L. alla fine, messo alle strette, fa la richiesta di spostare l'orario d'ingresso su un turno con ingresso fisso alle 10:00. Anche se il dott. N. ritiene che le vere motivazioni per cui i suoi dirigenti gli avevano "consigliato" di fare la richiesta fossero diverse:



    Le vere motivazioni per cui la ex DSSA mi ha sostanzialmente “obbligato” a fare richiesta dell’orario d’ingresso “fisso” alle 10:00 non sono ancora del tutto chiarite: qualcuno ha parlato di “eccesso di straordinario in uscita”. Se non ricordo male, la ex DSSA riteneva che io, uscendo spesso dopo le 20:00, facessi troppi "straordinari"  in uscita. Dal momento che, nella complessa (o forse comprensibile ma non trasparente) logica della Banca era troppo complicato bloccare lo straordinario in uscita, si è preferito bloccare lo straordinario in ingresso.

    A partire dal 2006, data in cui gli viene "suggerito" di fare la richiesta di cambiamento di orario in ingresso, il dott. N. si trova ad essere un "turnista" (ingresso fisso alle 10:00) senza avere l'indennità di turno. Gradualmente, il dott. N. si rende conto del fatto che in banca ci sono un sacco di persone con privilegi (economici e non) che lui non ha e non avrà mai. E non è questione di meritocrazia. Ecco alcuni estratti di una e-mail inviata dal dott. N. ai suoi dirigenti nel febbraio 2011.

    • Il permesso di spostare in avanti l’orario d’ingresso, basato sull’Art. 28, Nota 4, del Regolamento del Personale, non sembra richiedere particolari giustificazioni di tipo medico/sanitario, a patto che sia compatibile con le esigenze di organizzazione del Servizio; ad esempio ne usufruisce, a partire dal 2001, anche il dott. Francesco D., che non mi risulta abbia particolari problemi di salute. Inoltre, lo spostamento in avanti dell’orario d’ingresso (nel mio caso, ingresso alle 10:00) fa perdere il diritto alla flessibilità in ingresso, ma ovviamente lascia il diritto ai permessi a recupero in ingresso (Art. 31, Comma 3 del Regolamento del Personale).

    • Mentre, stando al Regolamento, i permessi a recupero dovrebbero essere accordati (di norma nel limite di due ore settimanali) solo per motivate esigenze personali e familiari, in realtà, molti dipendenti (anche di livello direttivo) del CDM usufruiscono di tali permessi durante l’intervallo di pranzo semplicemente per andare a fare jogging, andare in palestra, o seguire corsi di ballo.


    • Sempre stando al Regolamento del Personale, oltre ai permessi a recupero in ingresso (di norma, ma non necessariamente, fino a due ore settimanali), i dipendenti possono usufruire anche di: permessi sanitari (cod. 28, fino a 37 ore e 30 minuti all’anno), congedo frazionato per festività soppresse (6 giorni, ovvero 45 ore all’anno), Banca delle Ore; facendo qualche calcolo sommario, queste altre tipologie di permessi corrispondono ad almeno un centinaio di ore all’anno, ovvero a due ore di permesso a settimana; per questi permessi, il Regolamento non sembra imporre una distribuzione particolare; ovvero, leggendo il Regolamento sembra che queste quattro ore complessive settimanali, se compatibili con le esigenze di servizio, possano essere tutte dedicate a permessi in ingresso.

    • a partire dal 2007 ho avuto vari (documentati) problemi di tipo medico/sanitario, che mi hanno costretto ad usufruire di tutte le tipologie di permesso prima elencate (permessi sanitari, permessi a recupero, ecc.) arrivando ad accumulare, negli ultimi due mesi del 2010, addirittura qualche ora di negativo; tali problemi sono stati peraltro documentati dalle richieste certificazioni sanitarie;

    • per quanto al momento (inizio 2011) la mia situazione medico/sanitaria sia in via di miglioramento, temo che avrò bisogno, ancora per diversi mesi, di almeno due ore complessive settimanali di permessi a recupero in ingresso, a partire dall’orario d’ingresso attualmente concordato (le 10:00); ti prego quindi di farmi sapere, sulla base della certificazione sanitaria che ti allegherò, se ritieni che io abbia diritto, o meno, alle due ore settimanali di permessi a recupero previste (di norma) dal Regolamento; ovviamente ti prego di tener conto, nella tua risposta, del fatto che diverse persone del CDM, ed anche della Divisione (tanto per non fare nomi: l’ing. Castelluccio, l’ing. La Fratta e l’ing. Minnucci) hanno usufruito e tuttora usufruiscono di permessi a recupero (durante l’intervallo di pranzo) semplicemente per andare a fare jogging o per seguire corsi di ballo.

    • E’ chiaro che, se la Banca concede “a scatola chiusa” a svariati funzionari o dirigenti due o più ore settimanali di permessi a recupero semplicemente per svolgere attività di tipo sportivo amatoriale, o addirittura di tipo edonistico, a maggior ragione dovrebbe concedere, per valide e giustificate motivazioni di salute, permessi a recupero di durata complessiva superiore alle due ore settimanali.

    Tutto ciò premesso, ti prego di chiarire, sulla base della certificazione sanitaria che ti esibirò a vista, se ho diritto allo stesso quantitativo settimanale di permessi a recupero dei dipendenti del CDM che vanno a fare yoga o jogging durante l’intervallo di pranzo, o se avrei diritto ad un quantitativo settimanale maggiore; e, se sì, a quanto ammonta il quantitativo settimanale massimo di permessi a recupero accordatomi.


    Nell'ottobre 2011, il dott. N. viene sottoposto a un procedimento disciplinare. Motivazione: ha mandato "a quel paese" alcuni dirigenti della banca. Incredibile, vero?


    martedì 8 novembre 2011

    Il caso del dott. N. . Mobbing o altro?






    Il dottor N. . Un caso di mobbing bancario, o altro?


    Segue la copia di una e-mail inviata, nel febbraio 2011, dal dottor N. a un rappresentante sindacale.
     


    N. : sintesi della situazione lavorativa passata ed attuale.


    ·         laureato in Informatica, assunto in Banca nel ’94 con il grado di coadiutore tecnico;
    ·         dal ’94 al 2001 lavora presso il SESI, Divisione Sviluppo Applicazioni, Area CSR (attività di sviluppo e manutenzione su progetti software);
    ·         dal 2001 al 2009 lavora presso la DSSA, nell’Area Metodologie, Metriche e Amministrazione Dati (attività di verifiche su stime in Function Points), ricerca di nuovi metodi di stima dell’effort su progetti software, metodologie di sviluppo software (UML, RUP ecc.);
    ·         nel 2009, con la ristrutturazione della Funzione Informatica, viene assegnato all’area Supporto Tecnico ed Amministrativo (STA) della Divisione Sviluppo Applicazioni Istituzionali (DSvAI) del nuovo Servizio ISI, con funzioni apparentemente simili a quelle già svolte in DSSA (controllo su stime in Function Points, metodologie di sviluppo, controllo qualità, ecc.);
    ·         dopo una fase di inserimento apparentemente positiva, a metà 2010 le funzioni di N. (richieste di attività, ecc.) all’interno dell’area STA della DSvAI vengono progressivamente ridotte, fino ad essere completamente azzerate durante l’autunno 2010;
    ·         per ragioni mediche personali (certificate), N. totalizza negli ultimi due mesi del 2010 diverse ore di negativo, che comportano trattenute di circa 200 euro sugli ultimi due stipendi 2010;
    ·         a dicembre 2010 (dopo mesi di totale e forzata inattività) il Capo Area (Antonio R.), il Capo Divisione DSvAI (ing. Francesco B.) ed il Capo del Servizio ISI (dott. Omero P.) prospettano a N. la possibilità di chiedere “spontaneamente” il trasferimento presso la struttura di Fabbricazione Carte Valori; dopo alcune verifiche, N.  declina l’offerta, adducendo svariate motivazioni sia soggettive (lavoro completamente diverso rispetto a quello attuale) sia oggettive (difficile compatibilità tra i di turni FCV ed i permessi sanitari di cui N. usufruisce);
    ·         a gennaio 2011 la totale e forzata inattività di N. prosegue (nessun tipo di compito, nessun tipo di richiesta), ed il Capo Divisione (ing. F. B.) prospetta a N. la possibilità di fare “spontanea” richiesta di trasferimento presso il Servizio ELI;
    ·         a inizio febbraio 2011 il Capo Divisione ed il Vice Capo Divisione DSvAI convocano N. , per comunicargli “ufficialmente” il blocco di qualsiasi straordinario sia ingresso sia in uscita, a partire dal 15 febbraio; va precisato che N. ha un orario d'ingresso “rigido” a partire dalle 10:00; tuttavia un altro collega DSvAI, dott. Francesco D., ha un orario “rigido” a partire dalle 10:30, ma la DSvAI gli concede abbondanti surplus sia ingresso, sia in uscita, per ragioni di lavoro; inoltre un altro collega più anziano della DSvAI usufruisce da vari anni, per ragioni di lavoro, di un orario flessibile, simile a quello dei dirigenti;
    ·         14 febbraio: dopo il “cazziatone” ed il “blocco degli straordinari” subiti dal Capo Divisione e dal Vice Capo Divisione DSvAI, N. comincia a sentirsi decisamente “sotto pressione”, e contatta i rappresentanti CGIL del CDM per chiedere consigli;
    ·         15 febbraio, ore 19 circa: NLM è al suo PC per preparare il riassunto della sua situazione lavorativa per i rappresentanti CGIL del CDM; il Vice Capo Divisione DSvAI (ing. Francesco C.) lo invita amichevolemnte ad abbandonare la postazione, in quanto ha già sforato l’orario d’uscita standard (18:10) e gli dice (informalmente) che la sua posizione lavorativa è decisamente difficile, ed è già al vaglio dei competenti uffici della Banca (PINE? PGR? Ispettorato?);
    ·         16 febbraio, ore 13:30 circa : NLM, sempre più preoccupato, invia questa email ai rappresentanti CGIL del CDM.



    Nell'ottobre 2011, contro il dott. N. è stato avviato un procedimento disciplinare.